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Se i bambini servono per fare cassa

Con i tempi che corrono, è giusto che le associazioni di solidarietà cerchino di trovare risorse attraverso quello che in gergo viene definito fund raising. La cooperazione italiana praticamente non esiste più. Nonostante questo governo per la prima volta si sia inventato un ministero (naturalmente senza portafoglio) ad hoc. I progetti europei sono complicati e tante associazioni si trovano senza quel minimo necessario non solo per vivere, ma anche per continuare la loro preziosa opera di solidarietà. Allora, via con le campagne pubblicitarie. Sono tante quelle che si vedono in TV. Da Save the Children, all’Unhcr (non si capisce come mai un’organizzazione delle Nazioni Unite si comporti come fosse un’Ong), a Emergency. E tutte con una caratteristica. Al centro sono messi i bambini. Scandalosi, a dir poco, i messaggi che arrivano da Save the Children e da Unhcr. Si fa sfoggio della povertà e della malattia per commuovere. Con un cinismo spaventoso, che non esita e strumentalizzare la sofferenza e i bambini pur di raggiungere il proprio scopo. Non sfugge a questo stratagemma, anche se in modo molto più umano ed elegante, nemmeno Emergency che in questi giorni ha lanciato una raccolta fondi per l’ospedale di Kabul. Ci pensa infatti la presidente Cecilia Strada a precisare che nell’ospedale per cui si raccolgono fondi, almeno il 30% dei pazienti è composto da bambini. Poi c’è il boom delle adozioni (adesso si chiamano “sostegno”) a distanza. Con forme che spesso definire equivoche è poco. Facendo credere ai “donatori” che si instauri un rapporto quasi di adozione con i bambini che vengono aiutati, quando, nei fatti, una volta arrivati, spesso i fondi raccolti vanno a finire tutti dentro il calderone delle normali attività. Non sarebbe giusto fare di ogni erba un fascio. Tante associazioni che propongono il sostegno a distanza sono attente a fare corretta informazione e soprattutto al rispetto della dignità dei bambini e delle persone con cui operano. Ma restano da parte di alcune di esse dei grossi coni d’ombra. C’è da dire che gli esperti di fund raising hanno fatto bene il loro mestiere. D’altra parte ciò che importa è raggiungere l’obiettivo di raccogliere risorse. Poi se lo scopo è giusto, se i soldi saranno veramente impegnati per fare solidarietà, perché certa puzza sotto il naso? Siamo o non siamo il paese di Macchiavelli? Il fine giustifica i mezzi. Resta solo un “piccolo problema”. I bambini messi in mostra da certe pubblicità; con il labbro leporino o la spina bifida, sono innanzitutto delle persone. Con, dovrebbe essere retorico in questo caso dirlo, una loro dignità che dovremmo rispettare e salvaguardare. Non è lecito, direbbe don Tonino Bello, togliere la livrea della dignità ai poveri. Perché questa è la loro unica ricchezza. E, anche se fa cassa, certa solidarietà rischia di ottenere l’effetto contrario. L’Abbé Pierre ricordava che da bambino seguiva spesso la domenica suo padre, barbiere, che andava a fare i capelli e la barba ai poveri. Una volta uno di loro si ribellò, perché il padre, involontariamente l’aveva tagliato con il rasoio. Il piccolo ne rimase meravigliato: “Ma tu lo fai gratuitamente, perché ribellarsi?”. L’Abbè Pierre ricorderà per sempre la risposta del padre: “Ricordati sempre che occorre tanta delicatezza nell’aiutare i poveri senza ledere la loro dignità”. Fatto in questo modo, l’aiuto diventa elemosina, non si trasforma certo in solidarietà. Rischia di perpetuare la dipendenza, non libera, ma incatena. Soprattutto fa strage di ogni possibile relazione paritaria. Se poi a tutto questo si aggiunge l’uso dei bambini, allora la cosa diventa insopportabile. Le Ong hanno firmato tempo fa una carta etica che le impegna a non utilizzare in modo scorretto i bambini per la propria promozione. Forse sarebbe il caso la si rispettasse da parte di tutti. Almeno i bambini, per favore.
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